Come giara a Cana in cui l’acqua stagnante è divenuta vino di festa. Dal fondo, in vortice concentrico, smarrita, ogni goccia teme di lasciarsi andare nel rubino che la penetra e la dissolve. Ma è inebriata e cede. La parete porosa avverte la densità diversa del liquido che ora la riempie, corposo del profumo del sole, della dolcezza dell’incontro, del dolore della potatura, delle lacrime del torchio. Spinge il vino e preme e invoca la mescita.