Ancora il dialogo nella notte di Nicodemo. Quel dialogo tocca stavolta il tema della vita eterna. Che cosa intendeva Gesù con questa espressione? Non tanto una vita dilatata nel tempo quanto una vita qualitativamente diversa, vale a dire una vita trasfigurata da una bellezza che le può venire solo da Dio.
L’uomo, lasciato a se stesso, non ha la possibilità di appagare questo anelito e d’altra parte tutti i suoi desideri, persino i suoi errori, esprimono questa sua interna tensione verso il superamento dell’esistente per la conquista di una condizione inedita che attinga alla dimensione del divino.
Ora, se l’uomo non può farcela da solo, deve per questo abbandonare la speranza di poter raggiungere questa condizione?
È qui che si colloca la risposta di Gesù. Se l’uomo non può salire a Dio, c’è un Dio che discende verso l’uomo: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito. Dio è costituito proprio da questo movimento discendente: c’è una condiscendenza di Dio verso l’umanità. Perché questo movimento? Il motivo è affidato a delle parole semplici ma anche straordinariamente luminose: Dio ha tanto amato il mondo… Per amore… è proprio dell’amore abbracciare la condizione dell’amato permettendogli di accedere a uno stadio diverso di comprensione di sé, della vita, del mondo, dal basso, per un processo lento e graduale. Non per salti né per costrizioni.
Dio, amore, mondo: sono tre parole che prima di Gesù sembrava impossibile tenere insieme. Com’è possibile che Dio possa amare anche quelli che lo ignorano o che addirittura lo negano? Tra le due parole che sembravano inconciliabili, Dio e mondo, c’è una terza parola, amare, che supera le distanze e stabilisce un rapporto.
Noi sappiamo che Dio aveva già stabilito un rapporto particolare con un popolo. Qui però, nelle parole di Gesù a Nicodemo, non c’è di mezzo solo un popolo, ma tutta l’umanità: Dio ha tanto amato il mondo…
Ed è significativo anche il chiunque che ricorre nel brano evangelico come destinatario di questa salvezza offerta.
Chiunque rappresenta la famiglia umana. Dio è il Dio di tutti, senza distinzioni ed esclusioni.
E questo incontro tra Dio e il mondo avviene nella croce, avviene, cioè, in tutti quegli elementi di scarto che compongono l’umana esistenza. La croce è il luogo della riconciliazione. La ferita è chiamata a diventare feritoia. E la croce è il segno permanente che ci dà la certezza che Dio non vuole la nostra condanna, ma la nostra liberazione.
Non c’è peccato, per quanto grande, che sia più grande dell’amore di Dio. Non c’è delitto che non possa essere perdonato. Quella croce ci attesta che l’amore è più forte di ogni colpa.
Qui mi pare ci sia chiesto un cambio di prospettiva, un cambio di sguardo sul mondo. Il mondo, il nostro, è una realtà per la quale il Signore non cessa di sperare. C’è come una ostinazione di Dio nel portare avanti il suo progetto di salvezza e di amore nonostante le nostre resistenze. È un Dio che non ci chiede di temere il suo giudizio ma di credere al suo amore.
Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama.
Antonio Savone