«Dio se non lo cerchi lo trovi»
Meister Eckhart
 
150660_124317041071780_17095551_nPregare non è dire preghiere. E tantomeno un domandare per avere. È un aprirsi per essere, via d’illuminazione per il compimento dell’umano. Un radicale sì alla vita. Uno sperimentare Dio talmente sopra tutto, che nulla se ne può dire. Per questo lo si pregherà ancor meglio tacendo.
Ma esiste una modalità per accedere e venire in contatto con questo luogo interiore, dove riposa la luce della vita? Sì, si tratta di un atteggiamento da acquisire, che potremmo definire capacità. La preghiera è infatti un divenire capaci. Ma stiamo attenti, non nel senso d’essere capaci «di fare» qualcosa (mentalità ancora utilitaristica), ma semplicemente di accogliere. Un contenitore è capace perché vuoto, e in questo modo in grado di riceve un contenuto; esso non deve fare e produrre nulla. Così la preghiera rende semplicemente capaci, non di fare ma di accogliere il tutto.
La preghiera informa la vita, dà un colore diverso e una direzione nuova a tutto ciò che facciamo, alle nostre relazioni, alle nostre parole, ai nostri gesti. E ci si accorgerà man mano che in quell’acqua che potrà anche giungere alla gola, non si affonderà, perché si sta acquisendo una modalità di vita che permette di rimanere a galla, si sta vivendo una profondità diversa e uno spessore altro. Chi prega sta di casa nel proprio cuore, sereno per aver trovato la pace in quella caverna interiore che è il centro di sé, castello interiore certo, sicuro e inespugnabile.
La preghiera è l’aprirsi all’azione dello Spirito, che ci trasforma da carbone in diamante, e questo perché ci facciamo lentamente capaci di lasciarci attraversare dalla luce, capacità appunto del diamante, negata al carbone. Ognuno potrà così accettare serenamente il proprio materiale di costruzione di partenza, per quanto simile al carbone possa essere. Dio trasforma. Come mutò l’acqua in vino a Cana, potrà trasformare anche la torba in diamante.
Essere cristiani vorrà dunque dire diventare Dio, e divenirne consapevoli è il compito della nostra vita. Tutta l’etica, ossia il nostro vivere quotidiano, scaturirà da questo nostro lento «ascendere» verso il nostro compimento, il nostro cammino di cristificazione. «Agere sequitur esse(l’agire segue, è conseguente l’essere)», diceva Tommaso. Va così in frantumi un certo moralismo stantio che insisteva tanto sul buon comportamento, pensando che da solo fosse sufficiente a rendere buono l’uomo.
La meditazione è semplice affidamento al Cristo già presente in noi, «luce che brilla nelle tenebre» (Gv 1,5). Attraverso la meditazione questa luce, energia infinita presente in noi, illumina il nostro intero essere, per cui meditare altro non è che via all’illuminazione. Si diventa in un certo senso diafani e non perché ci si è impegnati a porre un atto morale, ma piuttosto attraverso un non-fare, un non-operare.
Dire che Dio è Padre quando siamo nelle nostre comode case, nella nostra preghiera di routine, quando tutto sommato non siamo sbattuti da venti contrari, lascia un po’ il tempo che trova. È nella notte più profonda che impariamo a riconoscere il vero volto di Dio; è nella fatica del vivere che va definendosi chi è Dio per noi.
(Paolo Scquizzato)

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